Kissing my ass. «Tutti i Paesi mi stanno chiamando e baciando il culo per negoziare le tariffe, “per favore, per favore signore, facciamo un accordo, farò qualsiasi cosa”» Parole e musica di Donald Trump. E il mondo della comunicazione (lasciando perdere le oscillazioni delle borse e il dietrofront sui dazi) ha fatto un altro leggiadro passo verso il baratro.
Un tempo, simili esternazioni sarebbero state relegate al chiuso di qualche golf club esclusivo, tra un bicchiere di whisky e una pacca sulla spalla di qualche amico fidato. Oggi, invece, vengono date in pasto al pubblico, e non solo quello dei propri sostenitori. «Il bacio dei glutei di Trump è un apostrofo rosa tra le parole t’odio. L’immagine del suo flaccido fondoschiena, da lui stesso evocata col consueto charme, nell’atto di ricevere l’omaggio (figurato, si spera) delle potenze straniere, rappresenta un punto di non ritorno nella storia della comunicazione politica». Lo scrive Massimo Gramellini nel suo Caffè sul Corriere della Sera di giovedì 10 aprile. Difficile dargli torto.

COSA È CAMBIATO?
Domanda da un milione di dollari. Ciò che è cambiato, cari miei, è che il filtro è saltato. Completamente. Un tempo si presumeva che chi aspirasse a guidare una nazione (o anche solo a commentarne le sorti) dovesse mantenere un certo decoro, una parvenza di educazione. Anche se nel privato magari pensava o diceva ben altro, c’era una sorta di tacito accordo sul linguaggio da usare in pubblico. Oggi sembra che questa patina di civiltà sia diventata un orpello fastidioso, un peso inutile.
La “schiettezza” (spesso virata in volgarità) è diventata una virtù, la capacità di “dire le cose come stanno” (anche se “come stanno” è spesso una distorsione grossolana della realtà) è applaudita come autenticità. Il politically correct, un tempo baluardo minimo di rispetto, è diventato il nemico da abbattere, il simbolo di una presunta élite ipocrita. E così, ecco che le metafore scatologiche e le autocelebrazioni sfacciate diventano la nuova norma, con buona pace di chi ancora credeva che la politica potesse elevarsi un po’ al di sopra del livello della chiacchiera da bar sport.
FORMA O SOSTANZA?
Se la forma è davvero sostanza (in politica e nelle istituzioni molto spesso è così) il “Kissing my ass” del presidente Usa dove porterà? L’unica certezza è che Trump non è comunque nuovo a dichiarazioni che facciano scandalo per la loro mancanza di correttezza, di gusto, di educazione, oppure per la loro carica offensiva di volgarità e rozzezza. Eccone alcune, fior da fiore:
“Grab them by the pussy. You can do anything.” (Ottobre 2016, registrazione audio trapelata di una conversazione del 2005 con Billy Bush per Access Hollywood). Questa frase, in cui Trump si vantava di come le celebrità potessero impunemente molestare sessualmente le donne, suscitò un’ondata di indignazione a livello globale durante la campagna presidenziale del 2016.
Riferendosi ai paesi africani e ad Haiti come a “shithole countries”. (Gennaio 2018, durante un incontro alla Casa Bianca sull’immigrazione, riportato da vari media tra cui il New York Times e il Washington Post). Queste osservazioni denigratorie e razziste nei confronti di nazioni intere furono ampiamente condannate come offensive e ignoranti.
Commentando l’aspetto fisico della giornalista Megyn Kelly: “You could see there was blood coming out of her eyes, blood coming out of her wherever.” (Agosto 2015, durante un’intervista con Don Lemon della CNN, dopo il primo dibattito presidenziale repubblicano). Questo attacco personale e sessualmente allusivo a una giornalista che lo aveva interrogato in modo critico fu visto come misogino e inappropriato per un candidato alla presidenza.
Affermando che il senatore John McCain, un eroe di guerra catturato in Vietnam, “non è un eroe di guerra… Mi piacciono le persone che non sono state catturate.” (Luglio 2015, durante un evento pubblico in Iowa). Queste osservazioni sprezzanti nei confronti di un prigioniero di guerra e veterano decorato furono considerate profondamente irrispettose e offensive per i militari e i veterani.
Dopo i disordini di Charlottesville in cui una contromanifestante fu uccisa da un suprematista bianco, Trump dichiarò che c’erano “brave persone da entrambe le parti”. (Agosto 2017, durante una conferenza stampa alla Trump Tower). Questa affermazione, che equiparava i suprematisti bianchi e i neonazisti ai contromanifestanti che si opponevano al razzismo, suscitò un’ampia condanna per la sua insensibilità e per aver minimizzato l’odio razziale.

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I POPULISMI E LE IDEOLOGIE DELLA DESTRA OLTRANZISTA STANNO AUMENTANDO IL FENOMENO?
Ma certo che sì! Sorpresa? Non credo. I populismi, con la loro retorica anti-establishment e il loro presunto contatto diretto con “il popolo”, hanno trovato in questo linguaggio rozzo e immediato un potente strumento di identificazione. “Vedete? Parlo come voi! Sono uno di voi!“.
Poco importa se questo “parlare come voi” significa scadere nella trivialità e nell’offesa. Anzi, spesso è proprio quello il punto. L’oltranzismo, con la sua tendenza a polarizzare, a creare un “noi” contro un “loro”, trova in questo linguaggio aggressivo e senza filtri un modo per cementare il proprio elettorato e per demonizzare l’avversario. L’insulto diventa un’arma, la volgarità una bandiera. E chi osa criticare viene immediatamente tacciato di essere parte di quella stessa élite “radical chic” che si vorrebbe combattere.
In definitiva, la dichiarazione di Trump è solo l’ennesima tessera di un mosaico sempre più inquietante. Un mosaico dove la comunicazione politica assomiglia sempre più a una rissa da cortile, dove l’argomentazione è sostituita dall’insulto e la complessità dalla semplificazione brutale.
LA COMPLESSITÀ VISTA COME IL NEMICO
Questo concetto della complessità vista come il fumo negli occhi, nemico da abbattere a colpi di semplificazione esponenziale e continuata, accelerata e favorita dagli algoritmi dei social che favoriscono la visibilità di pillole urticanti e incendiarie, è uno dei problemi sottesi più inquietanti e pericolosi. Stiamo andando verso il rifiuto, da parte degli utenti (abituati dai social, mi verrebbe da dire quasi ammaestrati, purtroppo) di ogni concetto complesso, e della sua relativa esposizione e spiegazione.
Laggiù in fondo, sulla lavagna digital, vediamo scritto: complesso=noioso, brutto, antiquato, lento, oscuro. In sostanza, complesso=mio nemico e semplificato=buono, semplificato=mio amico. Semaforo rosso e semaforo verde, con l’engagement che tiene il consenso ben agganciato al suo braccio armato (l’algoritmo semplificatore) e non lo molla più. Sono pessimista? Notate il linguaggio semplice – al limite del banale – che utilizza Trump, guardate i suoi tweet con gli slogan in maiuscolo e le paroline-mantra ripetute allo sfinimento, e poi ne parliamo…
Intanto noi, poveri spettatori disillusi, non possiamo fare altro che assistere a questo spettacolo deprimente, sperando che prima o poi qualcuno si ricordi che anche la politica, in fondo, dovrebbe avere un minimo di stile. Ma forse, a questo punto, è chiedere troppo. Forse dovremmo solo prepararci a un futuro in cui i leader si misureranno a colpi di “chi la spara più grossa”. E in questo, diciamocelo, Trump sembra avere ancora un certo vantaggio. Baci e dazi a tutti.
Giovedì 10 aprile 2025
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