Facebook, inutile nasconderlo, ha cambiato il mondo. E i social media sono ormai una poderosa presenza nel nostro modo di vivere, di comunicare, di veicolare informazioni e svaghi, di emozionarci.

Proprio sull’emozione i colossi del digital basano i loro meccanismi, e lo fanno (diciamolo senza tanti giri di parole) manipolandoci il cervello.

Salvini al citofono (La7)
Il leader della Lega Matteo Salvini durante la campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna, durante il famoso exploit al citofono che tante polemiche ha causato.
(Immagine tratta dalla trasmissione “L’aria che tira”, su La7)

Di questo coinvolgimento indotto e incoraggiato ne parlo nell’articolo “I social media ci manipolano il cervello? Il coinvolgimento artificiale ci trasforma in criceti” dove analizzo più nel dettaglio come i social media creano le tue emozioni, con l’unico obiettivo di farti restare più tempo possibile sulle piattaforme.

“Così – ho scritto in questo pezzo – guardi più pubblicità, così regali più dati, così coinvolgi i tuoi amici e parenti, che regalano anche i loro dati, eccetera eccetera. Sei un criceto dentro la ruota. Alimentata dalle tue reazioni ai video, ai post, alle foto che vedi”.


Il caso italiano: la strategia divisiva di Salvini

Anche se, a prima vista, può sembrare assurdo (ma non tanto se ricordi lo scandalo Cambridge Analytica sull’utilizzo dei nostri dati) uno dei campi in cui il meccanismo per creare e guidare a tavolino il coinvolgimento degli utenti dei social si rivela più efficace, quasi infallibile, è la politica e la ricerca del consenso elettorale. In Italia ne abbiamo un esempio illuminante e dall’efficacia indubbia: il leader leghista Matteo Salvini.

Mauro Tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa.


La sua strategia comunicativa è studiata a tavolino per sfruttare al meglio il meccanismo dell’engagement a ogni costo. Ho già toccato l’argomento in altri contenuti in cui parlo di social e politica:

  • Partiti liquidi per una società liquida un articolo che è stato anche (con un orgoglio che non posso e non voglio nascondere) lo spunto per la tesi di laurea in Scienze delle Comunicazioni di una studentessa dell’Università di Macerata

Il meccanismo che viene messo in pratica dagli staff di comunicazione dei leader politici (forse Salvini è l’unico nel panorama italiano che può vantarne uno al livello dei big mondiali, con la sua “Bestia” guidata da Luca Morisi) viene spiegato bene nella citazione qui sotto.

Sia Trump che Duterte [presidente delle Filippine, Ndr] hanno usato le controversie per manovrare la viralità. In una piattaforma come Facebook, progettata per promuovere l’engagement, il loro comportamento genera un circolo vizioso: contenuti incendiari portano a un pubblico più largo, che porta a campagne pubblicitarie più d’effetto. […] Un candidato naturale per Facebook domina il ciclo delle notizie e incendia le emozioni – cose che a loro volta aumentano la loro capacità di raccogliere donazioni. Una volta che i candidati capiscono che la retorica divisiva paga, cresce lo stimolo ad aumentare le pubblicità di parte e la disinformazione.
Charlie Warzel, responsabile del “Privacy Project” del New York Times, citato nell’ottimo articolo di Pietro Minto su Il Tascabile intitolato Il fondatore.

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Restando per un attimo negli Usa, giova ricordare (anche per il futuro) la difficoltà e la reticenza di Mark Zuckerberg nel famoso confronto con la giovane deputata democratica newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez. Si parlava delle contraddizioni di Facebook riguardo informazione e propaganda, dopo l’intenzione di permettere ai politici di produrre inserzioni pubblicitarie senza fact-checking, invocando la libertà d’espressione. L’atteggiamento del boss di Fb ha contribuito a moltiplicare i dubbi (lievitati parecchio dopo Cambridge Analytica) sulla policy della sua galassia riguardo un mix potenzialmente esplosivo: politica+engagement “articiale”.
Ecco qui sotto l’impietoso filmato, con Zuck impallinato a ripetizione.


Il meccanismo di Salvini, dalla tv ai social alle piazze e ritorno

Tornando all’orticello italiano, se fai mente locale e ripercorri le tappe della comunicazione salviniana sui social, spuntano immediatamente alcuni metodi di interazione ricorrenti, che hanno funzionato alla perfezione nel mondo digitale, facendo del politico milanese la star dei telefonini.

Impossibile non citare le felpe personalizzate, ostentate a ogni nuova tappa sul territorio, come pure l’invenzione del soprannome “Capitano”, oppure l’estremizzazione ricercata con costanza e accuratezza in pressoché ogni intervento. C’è anche il continuo, curatissimo resoconto della sua campagna elettorale permanente, che riannoda continuamente il virtuale con il reale, le piazze con i post, la gente con i selfie, usati in modo massivo proprio per questo motivo. Cioè per chiudere il cerchio: dalla tv ai social al contatto con le persone sul territorio.

In pratica Salvini usa i social per polemizzare e infiammare gli animi degli utenti. Poi la televisione li riutilizza rilanciandoli e amplificandone la potenza, che aiuta a riempire i comizi. La gente che è stata in piazza si rivede sui social e rilancia a sua volta l’evento, aumentandone anche in questo caso importanza e significato. E via così. Un meccanismo curato e ben alimentato che gira ogni giorno uguale a se stesso e nel contempo sempre diverso, dove puoi ritrovare quel che spiega il giornalista americano qui sopra.

Riallacciandoci alla parole di Warzel, veniamo al cuore della faccenda: la spinta propulsiva del politico – cioè i contenuti incendiari – è imperituramente legata a come funzionano i social e alla policy che adottano sulla correttezza del dibattito che alimentano.

In altre parole? Beh, appare fondato osservare che Salvini non è (così) divisivo perché questo sia necessariamente il suo sentire e il suo istinto, ma lo è (soprattutto) perché così funzionano gli algoritmi dei social.
È un musicista che – usando una metafora – ha imparato, prima e meglio degli altri politici italiani, come suonare l’ultimo tipo di tastiera digitale, con i tasti virtuali che vanno toccati in modo diverso da quelli fisici di una Yamaha elettronica o da quelli di un pianoforte a coda Steinway & Sons.

Strategia e tattica divisiva spinta all’estremo, quindi. Perché così funziona meglio, perché così vogliono i padroni del business digitale, perché così il consenso cresce, a colpi di like e di commenti feroci.

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Cinismo e praticità? Yes, con le corde che bisogna toccare per avere un voto che seguono gli stessi meccanismi di quelle che servono per comprare un gadget o una maglietta.

Ma, se un domani le regole di engagement cambiassero, vedrai che Salvini muterà rotta e cercherà di suonare altri tasti, perché così richiederanno gli algoritmi delle piattaforme che utilizzerà.


Niente di buono per il futuro

Tralasciando qui l’argomento fake news + profili falsi + ingerenze russe perché, oltre che off topic sarebbe troppo vasto, tiriamo le somme del ragionamento.

Stando così le cose, la politica sui social italiani, sospinta dall’accoppiata “regole di engagement artificiale+esempio salviniano” percorrerà, temo, una china sempre più becera, colma di odio, maleducazione, avventatezza e menefreghismo.

Avremo sempre più artefatti selfie entusiasti, video slogan urlati, risse promesse e/o minacciate, polemiche lanciate sul nulla, una marea di bugie buttate a caso nell’arena, visto che i leader capiranno che quel che conta è creare il primo polverone. Poi la nuvola cresce da sola e si autoalimenta, sospinta dal vortice di like e commenti infuriati. Poco importa se la partenza è stata una panzana, e se il post con il chiarimento e la verità – il giorno dopo – raggiungerà solo un centesimo degli utenti, rispetto a quelli che hanno partecipato al polverone.

È l’ineffabile algoritmo che comanda l’engagement artificiale, baby.

Mauro Tosetto

Mauro Tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa.


I social media ci manipolano il cervello anche in politica? La comunicazione divisiva di Salvini
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